De Pictura 1
Nella riunione dell'8 ottobre 2021 è stato letto il capitolo il modello atomico di bohr del libro fisica quantistica per poeti.
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Aggiorniamo la biblioteca dei libri disponibili per i componenti della Compagnia della Pagina.
Tolstoj paragonava la sua opera alle grandi creazioni omeriche, e nella sua immensità Guerra e pace si potrebbe dire un romanzo infinito, nel senso che l’autore sembra essere riuscito a trovare la forma perfetta con cui descrivere in letteratura l’uomo nel tempo. Denso di riferimenti filosofici, scientifici e storici, il racconto sembra unire la forza della storicità e la precisione drammaturgica (persino di Napoleone si fa un ritratto indimenticabile) ad un potente e lucido sguardo metafisico che domina il grande flusso degli eventi, da quelli colossali, come la battaglia di Austerlitz e la battaglia di Borodino, a quelli più intimi.
Per la precisione con cui i diversissimi piani del racconto si innestano all’interno del grande disegno monologico e filosofico dell’autore, Guerra e pace potrebbe definirsi la più grande prova di epica moderna, e un vero e proprio “miracolo” espressivo e tecnico. Guerra e pace è considerato da molti critici un romanzo storico (tra i più importanti di tutte le letterature), in quanto offre un ampio affresco della nobiltà russa nel periodo napoleonico.
Note tratte da Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_e_pace
Dall’incipit del libro:
— Ebbene, principe, Genova e Lucca son divenute appannaggio della famiglia Bonaparte. No, vi prevengo, se mi direte ancora che non avremo la guerra, se vi permetterete di assumere le difese di tutte le turpitudini, di tutti gli orrori perpetrati da quell’Anticristo, – chè per tale lo tengo, in fede mia! – non vi guarderò più in viso, non vi avrò più per amico, non sarete più, secondo voi dite, il mio schiavo fedele. Orsù, sedete: vedo che vi ho spaventato a dovere: sedete e raccontate.
Così parlava nel Luglio 1805 Anna Scherer, damigella di onore ed intima della imperatrice Maria Feodòrovna, accogliendo il grave e impettito principe Basilio, che arrivava per primo alla veglia di lei. Anna Scherer avea tossito vari giorni di fila, afflitta da un fiero crup (parola scozzese allora nuova e da pochissimi adoperata). Nei biglietti diramati la mattina, per mezzo di un cameriere in livrea rossa, era scritto:
«Se voi – conte o principe – non avete di meglio in vista, e se non troppo vi spaventa la prospettiva di spender la serata in compagnia d’una povera inferma, sarò lieta di una vostra visita tra le 7 e le 9 di stasera.
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Dall’incipit del libro:
De Anima. Il moto della terra contro alla terra ricalcando quella, poco si move le parte percosse. L’acqua percossa dall’acqua fa circuli dintorno al loco percosso. Per lunga distanzia la voce infra l’aria. Più lunga infra ‘l foco. Più la mente infra l’universo. Ma perché l’è finita non s’astende infra lo ‘nfinito.
2. Facciàno nostra vita coll’altrui morte. In nella cosa morta riman vita dissensata, la quale ricongiunta alli stomaci de’ vivi ripiglia vita sensitiva e ‘ntellettiva.
3. Il moto è causa d’ogni vita.
4. La natura è piena d’infinite ragioni che non furon mai in isperienzia.
5. La scienzia è il capitano e la pratica sono i soldati.
6. Sì come il mangiare sanza voglia fia dannosa alla salute, così lo studio sanza desiderio guasta la memoria e non ritien cosa ch’ella pigli.
7. Sempre le parole che non saddisfanno all’orecchio dello alditore li danno tedio ovver rincrescimento. E ‘l segno di ciò vederai spesse volte tali ulditori essere copiosi di sbavigli. Addunque tu che parli dinanti a omini di chi tu cerchi benivolenzia, quando tu vedi tali prodigi di rincrescimento, abbrevia il tuo parlare o tu muta ragionamento, e se tu altrementi farai, allora in loco della desiderata grazia, tu acquisterai odio e nimicizia.
E se voi vedere di quel che un si diletta sanza uldirlo parlare, parla a lui mutando diversi ragionamenti e quel dove tu lo vedi stare intento sanza sbavigliamenti o storcimenti di ciglia o altre varie azione, sia certo che quella cosa di che si parla è quella di che lui si diletta, ecc.
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Leonardo affidò morendo i suoi scritti al discepolo prediletto Francesco de’ Melzi che li custodì gelosamente nella sua villa a Vaprio adiacente al castello. Alla morte di Francesco i settemila e più fogli cominciarono a disperdersi. Su questa dispersione ci sono studi molto interessanti; ricordo almeno quelli di Luca Beltrami (Polifilo) Le vicende dei manoscritti di Leonardo e l’attesa edizione nazionale (febbraio 1919, “Emporium” n. 290) e di don Ambrogio Mazzenta, Le Memorie su Leonardo da Vinci ripubblicate ed illustrate da Don Luigi Gramatica (Milano 1919). Il volume dal quale è stato tratto il presente e-book è uno dei tanti che raccoglie, in maniera più o meno completa e coerente, gli scritti di Leonardo che non riguardano direttamente i suoi studi scientifici. Ma la sua particolarità e valore è dato dall’essere curato e prefato da Edmondo Solmi, i cui studi e monografie sulla figura e opera di Leonardo da Vinci sono ancora oggi di importanza basilare per chi voglia conoscere il più grande scienziato e studioso del Rinascimento.
«Grandissimo filosofo» fu definito Leonardo dal re di Francia, come ci narra Cellini. Ma “filosofo” in quei tempi significava soprattutto studioso di scienze naturali. Per questo antologizzare degli “Scritti letterari e filosofici” di Leonardo risulta sempre scelta opinabile e discutibile. Aggiungiamo che Leonardo stesso aggiunge elementi che inducono a considerare il suo pensiero come un “corpo unico”. Dice per esempio nel Trattato della pittura:
«Adunque la pittura è filosofia […] perché essa tratta del moto dei corpi nella prontitudine delle loro azioni, e la filosofia ancora lei si estende nel moto».
Inoltre Leonardo non scriveva ai fini di una pubblicazione. Annotava e disegnava sul suo libriccino “che teneva sempre alla cintola” le osservazioni e gli esperimenti che veniva facendo, ma anche le geniali intuizioni, i suoi ricordi personali (che sono infatti le fonti più importanti relative alla storia della sua vita). Come è noto inoltre – e anche questo rende difficili le ricostruzioni dei suoi scritti – Leonardo era ambidestro per natura e scriveva con la sinistra e “a rovescio” cioè da destra verso sinistra. Chi edita e cura le moderne edizioni degli scritti di Leonardo può quindi riferirsi agli originali o alle trascrizioni pazienti di studiosi come il Piumati. Trascrizioni che sono avvenute solo dopo 400 anni durante i quali il suo pensiero è rimasto nascosto nelle sue pagine indecifrate. Quello che emerge da queste trascrizioni è un materiale grezzo e personale, abbozzi da sviluppare in futuro. Questo non impedisce tuttavia un certo gusto per la ricerca di una “buona forma” anche se attraverso tentativi spesso frammentari e interrotti. Si porta spesso ad esempio di questo soprapporsi di pensieri il frammento 265 del Codice Atlantico, nel quale Leonardo parla degli “esempi e pruove dell’accrescimento della terra”, dove parla di civiltà sepolte e colonne inghiottite dal suolo, ma quando dovrebbe accingersi a parlare dei fossili si interrompe. Capovolge il foglio e scrive un “poemetto in prosa” (così fu definito): Il mostro marino. Questo breve componimento manca in questa edizione ma lo si può leggere nell’edizione degli Scritti letterari presente in questa biblioteca Manuzio, più recente e completa e curata da Augusto Marinoni.
Le Favole sono forse l’esempio del maggior impegno di Leonardo per lo “stile”, anche se si rilevano facilmente forti disomogeneità tra di esse. Sembra che talune siano solo tracce di argomenti da svolgere, altre sono invece scandite da un ritmo più elaborato e caratterizzate da una scelta più accurata dei vocaboli e degli aggettivi, oltre che da incisi e subordinate. Le Profezie sono probabilmente indovinelli preparati, sembrerebbe, al fine di essere letti a raduni di amici, alla corte del Moro soprattutto. Il titolo deriva dal fatto che il verbo sempre al futuro conferisce ai singoli componimenti il tono profetico. Letterariamente si può rilevare il contrasto, certamente voluto, tra la solennità impartita dallo stile e il movente faceto e scherzoso. Trova quindi spazio lo stupore per le forze misteriose e arcane che paiono governare la natura, la meraviglia dell’osservatore per il mondo circostante. I limiti di questa edizione – che, ricordiamo ancora una volta, è impreziosita dalla prefazione di Solmi – sono quelli dai quali nessuna edizione degli scritti leonardeschi può andare esente. Ci ricorda Favaro, in Passato presente e avvenire delle edizioni vinciane, che
«gli errori di interpretazione sono la gran piaga di tutte le pubblicazioni di manoscritti vinciani; non ne è andato immune alcuno degli editori di essi, nemmeno dei più sperimentati; ed è da aspettarci che ne commetteranno anche coloro che in avvenire attenderanno a questi lavori, sicché non sia il caso di lapidare alcuno per questo motivo; bensì […] dovranno adoperare la massima diligenza, moltiplicare le revisioni e i riscontri […] e poi recitare il veniam domusque petimusque vicissim».
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
LE FAVOLE
I. ‒ L’IRREQUIETEZZA.
Il torrente portò tanto di terra e pietre nel suo letto, che fu costretto a mutar sito.
II. ‒ LA CARTA E L’INCHIOSTRO.
Vedendosi la carta tutta macchiata dalla oscura negrezza dell’inchiostro, di quello si duole; il quale mostra a essa, che per le parole, che sono sopra lei composte, essere cagione della conservazione di quella.
III. ‒ L’ACQUA.
Trovandosi l’acqua nel superbo mare, suo elemento, le venne voglia di montare sopra l’aria, e, confortata dal foco elemento, elevatasi in sottile vapore, quasi parea della sottigliezza dell’aria. Montata in alto, giunse infra l’ari
Dall’incipit del libro:
Ciò che non ha termine non ha figura alcuna
Data la causa, la natura opera l’effetto nel più breve modo che operar si possa
Ogni azione fatta dalla natura non si pò fare con più brieve modo co’ medesimi mezzi.
Date le cause la natura partorisce li effetti per i più bri evi modi che far si possa.
Sì come ogni regno in sé diviso è disfatto, così o gni ingegno diviso in diversi studi si confonde e indebolisce. A ciascuno strumento si richiede esser fatto colla esperienza.
Ciascuno strumento per sé debbe essere operato colla esperienza dond’esso è nato.
Perché si vede più certa la cosa l’occhio ne’ sogn i che colla immaginazione stando desto.
Fuggi e precetti di quelli speculatori che le loro ragioni non son confermate dalla isperienzia. …
O studianti, studiate le matematiche, e non edifi cate sanza fondamenti.
Chi biasima la somma certezza delle matematiche si pasce di confusione, e mai porrà silenzio alle contradizioni delle sofistiche scienzie, colle qual i s’impara uno eterno gridore.
Li abbreviatori delle opere fanno ingiuria alla co gnizione e allo amore, con ciò sia che l’amore di qualunche cosa è figliol d’essa cognizione, e l’amo re è tanto più fervente quanto la cognizione è più certa; la qual certezza nasce dalla cognizione inte grale di tutte quelle parti, le quali, essendo insi eme unite, compongano il tutto di quelle cose che debbo no essere amate
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Edizione del 1568, edita a Firenze per i tipi della Giunti.
Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori è una serie di biografie di artisti, scritta nel XVI secolo dal pittore e architetto aretino Giorgio Vasari. Spesso viene chiamato semplicemente Le Vite. Il trattato del Vasari fu pubblicato nel 1550 da Torrentini ed ebbe uno straordinario successo che spinse l’autore a curare una seconda edizione ampiamente ingrandita e revisionata, pubblicata nel 1568 dalla famiglia Giunti.
È il primo libro organico di storia dell’arte che ci sia pervenuto, nonché la fonte, spesso unica, di notizie biografiche degli artisti a cavallo tra Medioevo e Rinascimento, nonché di informazioni su opere d’arte poi disperse, perdute o distrutte. Appassionato e meticoloso, Vasari peccò talvolta di eccessiva enfasi letteraria nel tracciare gli sviluppi dell’arte e i rapporti tra gli artisti. Gli studi successivi sul testo vasariano (tra cui quello scrupoloso di Gaetano Milanesi del 1848) hanno tuttavia circoscritto gli errori e le notizie rivelatesi fasulle (dovute spesso a quella creduloneria che ingannò molti storici del passato), restituendo il pieno valore del testo, che non solo influenzò il giudizio in materia d’arte fino a buona parte del XIX secolo, ma è tutt’oggi un’imprescindibile e citatissima referenza bibliografica.
Sinossi tratta da Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Le_vite_de’_più_eccellenti_pittori,_scultori_e_architettori
Dall’incipit del libro:
Ecco dopo diciassette anni ch’io presentai quasi abbozzate a Vostra Eccellenza Illustrissima le vite de’ più celebri pittori, scultori et architetti, che elle Vi tornano innanzi, non pure del tutto finite, ma tanto da quello che ell’erano immutate, et in guisa più adorne e ricche d’infinite opere, delle quali insino allora io non aveva potuto avere altra cognizione, che per mio aiuto non si può in loro, quanto a me, alcuna cosa desiderare. Ecco, dico, che di nuovo Vi si presentano, Illustrissimo e veramente Eccellentissimo signor Duca, con l’aggiunta d’altri nobili e molti famosi artefici, che da quel tempo insino a oggi sono dalle miserie di questa passati a miglior vita, e d’altri che ancorché fra noi vivano, hanno in queste professioni sì fattamente operato, che degnissimi sono d’eterna memoria. E di vero è a molti stato di non piccola ventura, che io sia per la benignità di Colui a cui vivono tutte le cose, tanto vivuto, che io abbia questo libro quasi tutto fatto di nuovo: perciò che, come ne ho molte cose levate, che senza mia saputa et in mia assenza vi erano, non so come, state poste, et altre rimutate, così ve ne ho molte utili e necessarie, che mancavono, aggiunte. E se le effigie e’ ritratti che ho posti di tanti valenti uomini in questa opera, dei quali una gran parte si sono avuti con l’aiuto e per mezzo di Vostra Eccellenzia, non sono alcuna volta ben simili al vero, e non tutti hanno quella proprietà e simiglianza che suol dare loro la vivezza de’ colori, non è però che il disegno et i lineamenti non sieno stati tolti dal vero, e non siano e proprii e naturali: senzaché essendomene una gran parte stati mandati dagli amici che ho in diversi luoghi, non sono tutti stati disegnati da buona mano.
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Dall’incipit del libro:
Vedestu mai che un cieco insegnasse la via a chi vedea? Apresso noi qui con questi brevissimi ricordi, quali chiamiamo Elementi, assequirai che chi forse per sé non sa designare, e’ mostrerà vera e certa ragione e modo a diventare perfetto designatore, purché tu non fugga aprendere quello che tu iudichi impossibile. Prova prima se ti riesce, e poi iudica e della nostra erudizione e del tuo ingegno quello te ne pare. Provando mi crederai, e credendomi ti deletterai conoscerli tutti. Tu così fà, e amami.
Il testo è disponibile sul sito ĺiberliber
L’opera, scritta probabilmente tra il 1435 e il 1436 in due redazioni, latina e volgare, tratta delle leggi matematiche della prospettiva che Leon Battista Alberti apprese dall’amico Brunelleschi. Il De pictura è stato un punto di riferimento per i pittori dell’epoca, divenendo la base per tutti gli sviluppi successivi della teoria prospettica (come quelli che dobbiamo a Piero della Francesca e a Leonardo da Vinci). Il testo è disponibile in versione latina e volgare.
Dall’incipit del libro:
Io solea maravigliarmi insieme e dolermi che tante ottime e divine arti e scienze, quali per loro opere e per le istorie veggiamo copiose erano in que’ vertuosissimi passati antiqui, ora così siano mancate e quasi in tutto perdute: pittori, scultori, architetti, musici, ieometri, retorici, auguri e simili nobilissimi e maravigliosi intelletti oggi si truovano rarissimi e poco da lodarli. Onde stimai fusse, quanto da molti questo così essere udiva, che già la natura, maestra delle cose, fatta antica e stracca, più non producea come né giuganti così né ingegni, quali in que’ suoi quasi giovinili e più gloriosi tempi produsse, amplissimi e maravigliosi. Ma poi che io dal lungo essilio in quale siamo noi Alberti invecchiati, qui fui in questa nostra sopra l’altre ornatissima patria ridutto, compresi in molti ma prima in te, Filippo, e in quel nostro amicissimo Donato scultore e in quegli altri Nencio e Luca e Masaccio, essere a ogni lodata cosa ingegno da non posporli a qual si sia stato antiquo e famoso in queste arti. Pertanto m’avidi in nostra industria e diligenza non meno che in benificio della natura e de’ tempi stare il potere acquistarsi ogni laude di qual si sia virtù. Confessoti sì a quegli antiqui, avendo quale aveano copia da chi imparare e imitarli, meno era difficile salire in cognizione di quelle supreme arti quali oggi a noi sono faticosissime; ma quinci tanto più el nostro nome più debba essere maggiore, se noi sanza precettori, senza essemplo alcuno, troviamo arti e scienze non udite e mai vedute.
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Tali libri sono disponobili per gli aderenti alla Compagnia che li possono richiedere per leggerli
o imprestarli in lettura ai proprii amici.
Oggi presentiamo un libro che riteniamo utile alla formazione culturale delle persone.
"Il mondo di Parmenide" di KARL R. POPPER 1-C1
Alla scoperta della filosofia presocratica.
"La storia delle filosofia greca da Talete a Platone,
è splendida. Troppo splendida per essere vera. In ogni generazione trovi perlomeno
una nuova filosofia, una nuova cosmologia di sorprendente originalità e profondità. Come fu possibile ciò? Certamente, l'originalità e il genio sono insondabili.Ma si può tentare di gettarvi
un po' di luce. Quale era il segreto degli antichi? Ritengo che fosse una tradizione- la tradizione della discussione critica". Karl R. Popper
" Il paradiso perduto" di JOHN MILTON 2-C4
Il Paradiso Perduto ( titolo originale: paradise lost), pubblicato nel 1667, è il poema epico in versi sciolti (black verse) di John Milton che racconta l'episodio biblico della caduta dell'uomo: la tentazione di Adamo e Eva a opera di Satana e la loro cacciata dal giadino dell'Eden.
" Le Categorie" di ARISTOTELE 3-C4
La dottrina delle categorie costituisce uno dei capisaldi del pensiero aristotelico.
In essa, Aristotele fornisce il fondamento teorico di una concezione della realtà caratterizzata dal primato della sostanza individuale e della multivocità dell'ente. Partendo dalle definizioni di omonimia, sinonimia e paronimia, Aristotele traccia i presupposti per la formazione di colonne di predicati di cui le categorie costituiscono i più universali. Segue un elenco di dieci categorie e l'analisi di quelle della sostanza, della quantità, della relazione e della qualità.
" I Lirici Greci" tradotti da poeti italiani contemporanei 4-C4
Dal grande naufragio della poesia lirica greca emergono poche voci, ma decisive. Dicono parole essenziali, alate,potenti e giungono al cuore delle situazioni e dell'uomo. Non esiste idea, forma, passione intellettuale, tensione espressiva, in cui non si senta l'eco del loro canto sapiente. Saffo, " divina dolce ridente" la descrive Alceo, musa di un amore che è fuoco sottile, febbre, forza della natura cui nulla può resistere; Anacreonte raffinato e ironico cantore dell'aristocratico mondo del simposio; Ibico, nei cui versi gli effetti diventano emozione ambigua, conturbante. E poi Mimnermo, con il suo orrore per l'inesorabile vecchiaia; Teognide, con la sua inesausta ricerca dell'amicizia vera, di un incontro umano profondamente leale; Alcmane, maestro di cori fastosi eseguiti dalle nobili fanciulle di Sparta; Pindaro con i suoi 'voli' fulminei e imprevedibili... fino ai bizantini Agazia e Romano il Melode. Voci affiorate da papiri, da brandelli di pergamene, da citazioni di filosofi antichi e oggi riproposte in questa antologia nelle vibranti traduzioni di 87 poeti e scrittori contemporanei, da Mario Luzi a Gesualdo Bufalino, da Luciano Erba ad Alberto Bevilacqua, da Franco Loi a Vincenzo Consolo. Un grande affresco di dieci secoli di canto greco, dall'apologeo alla decadenza, in un confronto affascinante tra poesia classica e sensibilità moderna.
"La Repubblica" di PLATONE 5-C4
Tra le opere di Platone, e in particolare tra le opere politiche, la Repubblica occupa certamente un posto centrale. Trattato in forma di dialogo articolato in dieci capitoli, la Repubblica raccoglie infatti il nucleo della concezione del filosofo in ambito politico, che trova la sua massima espressione nel disegno della città-stato ideale. Come scrive Platone, nella società umana i mali non cesseranno finchè gli autentici filosofi non arriveranno al potere, o i capi degli Stati non si metteranno a filosofare veramente.
"Dialoghi" di PLATONE 6-C4
I Dialoghi platonici rappresentano la quasi totalità della produzione letteraria e filosofica di Platone: il suo corpus ne conta ben 34, a cui si aggiungono un monologo (Apologi di Socrate) e l'Epistolario.
Per quanto riguarda la scelta stilistica del dialogo come forma espositiva, è importante sottolineare come, in quegli anni, vi fossero tutte le condizioni per questa particolare scelta: da una parte, la sempre più vasta popolarità e fortuna della tragedia e della commedia, dall'altra il dialogare dei sofisti e di Socrate. Se non è dunque possibile sostenere che Platone sia stato il creatore del dialogo come genere letterario, è però verosimile che egli abbia colto la comune abitudine al dialogare e al porre quesiti, iniziando forse a stendere semplici questionari senza personaggi, affidando poi, in una seconda fase, alla figura di Socrate la funzione di protagonista di opere più strutturate e complesse.
"Biblioteca" di APOLLODORO 7-C4
La Biblioteca (attribuita anche se con qualche dubbio ad Apollonio, famoso grammatico ed erudito del II secolo a.C.) è la piu grande enciclopedia di mitologia greca dell'antichità, summa inesauribile di saghe e leggende di dèi ed eroi - dalle origini del mondo alla morte di Odisseo- che confluiscono in una selva di racconti e varianti derivati da fonti disperate: letterarie, poetiche e di tradizione folklorica. Un vero e proprio repertorio, dunque, uno strumento celebrato e indispensabile nel campo degli studi mitografici, al quale hanno attinto o si sono comunque ispirate tutte le trattazioni moderne. A quest' opera basilare uno dei padri dell'antropologia culturale James George Frazer, l'autore di Il ramo d'oro, dedicò nell'ultimo periodo della sua vita un amplissimo commento che contiene, oltre a una vasta messe di notizie erudite, osservazioni di natura etnografica , folklorica, storica e religiosa. Il presente volume propone, insieme alla versione italiana del testo greco e al commento di Frazer opportunamente aggiornato, l'appendice alla Biblioteca scritta da Frazer stesso, nella quale una serie di narrazioni che variamente si richiamano ai miti della grecità sono rivisitate, secondo i canoni della comparatistica, attraverso un intreccio di paralleli analogici e tematici con le mitologie di numerose civiltà tribali. Sono excursus magistrali, dove Frazer attinge alla sua imponente dottina antropologica. Non meraviglia dunque, che il commento ad apollodoro -come quello a Pausania- sia da molti considerato tra i più alti raggiungimenti dell'opera di Frazer.
"Satire" di GIOVENALE 8-SS5
Amaro, ironico, spietato con i potenti e solidale con i poveri, Giovenale fu un poeta sui generis. La ferocia delle sue invettive contro la Roma imperiale di Nerva e Traiano non ha riscontri nella letteratura del tempo. Le sue sedici Satire in esametri, raccolte in cinque libri, sono la denuncia più puntuale e vibrante di un mondo ormai avviato verso una lunga e inarrestabile decadenza. La derisione, il sarcasmo, l'odio contro le fazioni politiche e l'ipocrisia che le governa sono i temi che si rincorrono nei suoi versi, dando voce universale alla rabbia del cittadino impotente davanti al cinismo e alla corruzione. Niente e nessuno sfuggono ai suoi strali: i golosi, i viziosi, i perversi, i fanatici. La sua visione sarcastica della vita ha momenti di insolita acredine; lo stile che le dà vita è icastico e pungente. Una medicina non sospetta e corroborante che Giovenale, con la sfrontatezza del genio, continua a dispensare alle nuove generazioni, per affermare la vittoria dell'arte sulla prepotenza.
"satyricon"di Petronio Arbitrio 8-c4
Petronio è certo uno dei più enigmatici personaggi della lettereatura latina,e la sua identificazione è spesso incerta .
La carriera di proconsole in Bitinia,a cui fecepresto seguito quella di console a Roma .
Esaurito il mandato pubblico entro a far parte della stretta cerchia della corte neroniana, dissolutà e corrotta , dove presto divenne arbitro dell' eleganza, per il suo gusto ironico e irriverente,ed estremamente raffinato.
Presto cadde in disgrazia preso l' imperatore e nel 66 d.C. fu tra le vittime dell' ondata di repressiono neroniana.
Accusato di esere coinvolto nella cungira dei Pisoni preferì darsi la morte all' incertezza di una sentenza.
Il suo suicidio è narrato magistralmente da Tacito in una delle pagine più toccanti degli
Annali.
si puo leggere qui: https://files.acrobat.com/a/preview/c532f860-95fd-45b5-b4e1-1a6a5da1d3a6
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"Le tragedie" di SOFOCLE 9-C4
L'Edipo re, che si edifica in un suo meraviglioso e unico mondo, quasi nel vuoto: basandosi senza vacillare sulle macerie di tutte le umane certezze e di quell'unica che tutte le accoglie: la fede nel valore della vita. L'Edipo a Colono: un Edipo 'eroe' , fermo dinanzi alla 'soglia di bronzo' dell'Attica ospitale. Un padre cieco sorretto da una figlia giovinetta che gli è anche sorella. Ma questa realtà non è più violenza esterna, è già l'abito di una lunga intimità col dolore. Antigone, la libera coscienza che parla alla tirannide schiava di sè. E vince con la sua dialettica, il tiranno che l'uccide. Elettra che, come Antigone, rimarrà sola, in un dramma su cui incombe il senso dell'abbandono affranto. Le Tachinie, il racconto mitologico della morte di Eracle, dell'inconciliabilità dela sua vita con quelle della sposa Deianira. Filottete, il malato che soffre fino allo spasimo, abbandonato dai compagni a Lemno. La storia di un rapporto fra l'uomo e l'isola, fra l'uomo e il mare, fra l'uomo e l'antro. Aiace, in un altro scenario marino il torbido isolamento del folle nella stretta del suo male. Uno stato intermedio tra sonno e veglia, tra lucidità e follia, tra conscio ed inconscio. Giuseppina LombardoRadice presenta in questa sua traduzione, nata da una lunga obbedienza al testo e da una scelta antiaulica, le sette tragedie rimasteci di Sofocle, non seguendo la cronologia nella composizione, ma l'ordine degli argomenti, consentendo così una più facile lettura continua.
"Le storie" di ERODOTO 10- SS5
Le Storie di Erodoto raccontano in nove libri le origini e l'espansione dell'impero persiano e le guerre che opposero i greci e i persiani fino alla conquista ateniese di Sesto, nel 478 a.C. Nessuno, prima e dopo erodoto, ha mai saputo orchestrare così perfettamente una storia totale: i fatti politici, e militari, il folclore e le leggende, la geografia e i monumenti si equilibrano in quest'opera 'che respira l'immensità e la libertà degli spazi aperti'. La curiosità di Erodoto verso la totalità e la complessità dell'esistenza è insaziabile: lo vediamo osservare, conversare, porre domande, ascoltare, riflettere, paragonare, talvolta concludere. E poco importa capire cosa pensi e quale sia il suo punto di vista. Dobbiamo solo abbandonarci alle suggestioni delle sue immagini e all'incanto della sua prosa: al senso prodigioso della fluidità del tempo, allo scorrere del mondo e del racconto come, diceva Cicerone, un 'fiume quieto che si insinua nelle anse dell'animo umano e della Storia'.
"Vita pensieri testimonianze" di SOCRATE 11- SS5
"Anabasi" di SENOFONTE 12- SS5
Senofonte, vissuto nella Atene di Socrate, fu uno degli scrittori più amati dell'antichità per l'immediatezza e la duttilità della sua prosa, modello di stile per Cesare e Quintiliano. Il suo capolavoro, Anabasi, oggetto di ammirazione assoluta nel Rinascimento, continua a essere una delle opere più lette della letteratura greca. Vi si racconta la ' marcia verso l'interno', Anabasi appunto, voluta dal principe Ciro per impadronirsi del trono di Persia. Un episodio marginale, che Senofonte trasformò in un'epopeaindimenticabile, inaugurando un genere letterario: quello dell'autobiografia eroica. Fallita la spedizione per la morte di Ciro in battaglia, i diecimila soldati trovarono infatti in Senofonte non soltanto uno storico geniale ma uno stratega, che li guidò agli avamposti sul Mar Nero con una marcia di migliaia di chilometri. Anabasi è soprattutto la storia di quella leggendaria ritirata: un'odissea tra territori ostili e genti 'diverse' che ha il fascino di un romanzo d'avventure.
Libro leggibile qui: https://files.acrobat.com/a/preview/e805d9a1-7b3c-4862-a17a-b053fb07ed67
https://files.acrobat.com/a/preview/966d4732-b4b4-436b-ae99-5ff1b7dd6527
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La prima edizione è del 1827, l’edizione definitiva del 1840. Assegnando agli umili il ruolo di protagonisti, lo scrittore immagina, in una trama semplice ma fitta di occasioni romanzesche, personaggi “viventi” ed esemplari al tempo stesso, e scopre nelle tragiche contraddizioni del Seicento le chiavi di un’interpretazione socio-politica del presente da proporre ai suoi contemporanei. I soprusi dei potenti, la carestie e le guerre, la peste, tutti gli accadimenti del racconto risultano integrati e risolti nella chiara e malinconica visione provvidenziale dei giusti (padre Cristoforo, il cardinale Federigo), nel buonsenso di Renzo e Lucia, nell’insondabile tristezza dell’Innominato.
Dall’incipit del libro:
Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l’uno detto di san Martino, l’altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l’ossatura de’ due monti, e il lavoro dell’acque.
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- I promessi sposi: Copertina
- I promessi sposi: Introduzione
- I promessi sposi: capitolo 01
- I promessi sposi: capitolo 02
- I promessi sposi: capitolo 03
- I promessi sposi: capitolo 04
- I promessi sposi: capitolo 05
- I promessi sposi: capitolo 06
- I promessi sposi: capitolo 07
- I promessi sposi: capitolo 08
- I promessi sposi: capitolo 09
- I promessi sposi: capitolo 10
- I promessi sposi: capitolo 11
- I promessi sposi: capitolo 12
- I promessi sposi: capitolo 13
- I promessi sposi: capitolo 14
- I promessi sposi: capitolo 15
- I promessi sposi: capitolo 16
- I promessi sposi: capitolo 17
- I promessi sposi: capitolo 18
- I promessi sposi: capitolo 19
- I promessi sposi: capitolo 20
- I promessi sposi: capitolo 21
- I promessi sposi: capitolo 22
- I promessi sposi: capitolo 23
- I promessi sposi: capitolo 24
- I promessi sposi: capitolo 25
- I promessi sposi: capitolo 26
- I promessi sposi: capitolo 27
- I promessi sposi: capitolo 28
- I promessi sposi: capitolo 29
- I promessi sposi: capitolo 30
- I promessi sposi: capitolo 31
- I promessi sposi: capitolo 32
- I promessi sposi: capitolo 33
- I promessi sposi: capitolo 34
- I promessi sposi: capitolo 35
- I promessi sposi: capitolo 36
- I promessi sposi: capitolo 37
- I promessi sposi: capitolo 38
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IL DESERTO DEI TARTARI di Dino Buzzati
Giovanni Drogo, tenente di prima nomina destinato a Forte Bastiani, si avvia alla meta con l'indefinibile presentimento che qualcosa nella sua vita stia portandolo a una totale solitudine. La fortezza, enorme, gialla, situata ai limiti del deserto, una volta regno dei mitici nemici, i Tartari, lo accoglie con la sua misteriosa imponenza. Il tenente Drogo viene contaminato da quel clima eroico di avidità di gloria, che sembra pietrificare, in un'attesa perenne, ufficiali e soldati.Tutti aspettano i nemici, che verranno dal Nord. Col passare degli anni il tenente Drogo "sente il battito del tempo scandire avidamente la vita", finchè la speranza rinnovata da ogni ombra della pianura verrà stroncata dall'estrema rinunzia: la morte che la dignità del soldato trasfigurata in solitaria vittoria.
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ODISSEA DI OMERO
L'Odissea è uno dei testi fondamentali della cultura classica occidentale. In essa Omero è capace di comprendere nella vita di un uomo, Ulisse, tutto il mondo greco antico e,ponendosi come archetipo del romanzo, è pertanto divenuta una lettura ancor oggi imprescindibile per ogni studente e per chi desidera addestrarsi lungo il sentiero della conoscenza.Il libro offre un contributo a questo cammino, garantendo l'integralità della trama, la bellezza del verso poetico e un apparato che facilita la lettura del testo senza mai sostituirsi ad esso, suggerendo invece l'immedesimazione del lettore nei personaggi e negli avvenimenti narrati.
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ILIADE DI OMERO
La lettura dell’Iliade è un passo imprescindibile per chi si vuole, o si deve, addentrare nel mondo della letteratura, dell’arte, della civiltà occidentale. Da qui l’esigenza di apprestare uno strumento che salvaguardasse l’integralità della trama, la bellezza della versificazione, la fruibilità del testo. Ne è nata questa Iliade che alcuni insegnanti hanno curato per i loro studenti e che ora viene proposta a chiunque desideri essere accompagnato nella lettura dell’opera considerata uno dei classici sui quali si è formata la nostra cultura, condividendo un’avventura senza pari nell’affascinante, perché sempre vero, mondo omerico.
L'APOCALISSE di Giovanni:
Questo è un brevissimo riassunto dell’Apocalisse di Giovanni, ultimo libro del Nuovo Testamento. Il testo è probabilmente del 90 dopo Cristo e la tradizione cristiana ne identifica l’autore con l’apostolo Giovanni, il prediletto del Signore.
Dopo tre capitoli introduttivi, L’Apocalisse di san Giovanni si apre con la visione del Trono di Dio.
Colui che era seduto sul Trono aveva l’aspetto di una pietra ed intorno a Lui sedevano 24 anziani avvolti in candide vesti. Dal Trono uscivano lampi e tuoni.
Vicino al Trono vi erano 4 esseri viventi pieni di occhi sia davanti che di dietro.
Il primo aveva l’aspetto di un leone, il secondo di un vitello, il terzo di un uomo ed il quarto di un’aquila. Tutti e quattro gli esseri erano dotati di 6 ali ciascuno.
Colui che era assiso sul Trono aveva nella mano destra un libro a forma di rotolo, chiuso da 7 sigilli.
La visione continua con l’apparizione di un agnello dotato di sette corna e sette occhi che prende il libro sigillato dalla mano di Colui che siede sul Trono ed apre, uno alla volta, i 7 sigilli.
All’apertura del primo sigillo apparve un cavallo bianco con un cavaliere con in mano un arco.
All’apertura del secondo sigillo apparve un cavallo rosso fuoco e colui che lo montava aveva una grande spada ed ebbe il potere di togliere la pace dalla Terra.
All’apertura del terzo sigillo apparve un cavallo nero ed il suo cavaliere aveva in mano una bilancia.
All’apertura del quarto sigillo apparve un cavallo verde il cui cavaliere era la Morte, seguita da tutto l’Inferno, ed ebbe il potere di sterminare la quarta parte dell’umanità con la guerra, la peste e le carestie.
I personaggi di cui si parla in questi primi quattro sigilli, vengono comunemente chiamati i quattro cavalieri dell’Apocalisse.
All’apertura del quinto sigillo apparve tutta la moltitudine dei martiri che chiedevano giustizia e vendetta.
All’apertura del sesto sigillo vi fu un violento terremoto. Il Sole si oscurò e la Luna divenne rosso sangue. Una moltitudine di stelle si abbattè sulla Terra ed i cieli si ritirarono. Quattro angeli fermarono però la distruzione della Terra, perchè dovevano prima essere segnati con un marchio gli uomini che si sarebbero salvati. Alfine questi furono segnati ed erano 144.000.
All’apertura del settimo sigillo, apparvero 7 angeli con 7 trombe.
Allo squillo della prima tromba, piovvero sulla Terra sangue e fuoco. Un terzo della Terra fu bruciata.
Allo squillo della seconda tromba, una grande montagna di fuoco cadde nel mare.
Allo squillo della terza tromba, cadde dal cielo una grande stella. Essa si chiamava Assenzio.
Allo squillo della quarta tromba, furono colpiti da misteriosi oggetti il Sole e la Luna.
Allo squillo della quinta tromba, un astro cadde sulla terra che si aprì e da essa uscì un gran fumo che oscurò il cielo. Dalle viscere della Terra uscì una moltitudine di enormi cavallette che iniziarono a tormentare gli uomini. Esse avevano aspetto umano, con capelli di donna e denti da leone ed il rumore delle loro ali era assordante e spaventoso. Il loro Re era l’angelo dell’abisso, lo sterminatore.
Allo squillo della sesta tromba, furono liberati 4 angeli al cui seguito vi erano milioni di cavalieri che sterminarono un terzo dell’umanità ancora superstite, ma la restante umanità ancora viveva nella perdizione e nel peccato.
Allo squillo della settima tromba, si aprirono i cieli ed apparve l’Arca dell’Alleanza. Seguirono fulmini, tuoni, terremoti e tempeste di grandine.
A questo punto apparvero grandi segni nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e per il travaglio del parto ed alla fine partorì un figlio maschio. A lei si oppose un drago mostruoso e scoppiò una guerra nel cielo. Michele e i suoi angeli combatterono contro il drago ed i suoi angeli, che alla fine furono precipitati sulla Terra.
Il drago precipitato sulla Terra si avventò contro la donna, ma essa riuscì a fuggire nel deserto.
Allora il drago fece uscire dal mare una bestia mostruosa con dieci corna e sette teste, col corpo simile ad una pantera, le zampe come quelle di un orso e la bocca come quella di un leone. Tutta l’umanità iniziò ad adorare la bestia ed il drago che le aveva dato il suo potere.
Dalla Terra uscì ancora un’altra bestia che operava grandi prodigi e convinceva l’umanità ad adorare la prima bestia che era uscita dal mare. Tutti coloro che rifiutavano di adorarla, vennero messi a morte, mentre agli altri fu imposto sulla fronte e sulla mano destra il simbolo della bestia, il numero 666.
La visione prosegue poi con l’apparizione dell’agnello, seguito dai 144.000 eletti che non avevano il segno della bestia, ma quello dell’agnello. Questi eletti non si erano contaminati con donne, erano vergini e seguivano l’agnello dovunque andava.
Apparvero poi, uno alla volta, degli angeli che invitavano a temere ed adorare il vero Dio, annunciavano la caduta di Babilonia, e profetizzavano che tutti coloro che avevano il marchio della bestia, avrebbero subito l’ira di Dio.
Dopo di ciò, apparve su di una nube bianca “uno simile ad un Figlio d’Uomo” che aveva una falce in mano ed una corona sulla testa ed iniziò a mietere la Terra.
Nel cielo apparvero poi altri 7 angeli che avevano sette flagelli, gli ultimi che avrebbe dovuto subire l’umanità, affichè fosse compiuta l’ira di Dio.
Col primo flagello, gli uomini che avevano il marchio della bestia e la adoravano furono colpiti da piaghe dolorose. Col secondo, il mare divenne color sangue è perì ogni forma di vita marina. Col terzo, avvenne lo stesso in fiumi e laghi. Col quarto, il Sole si surriscaldò e gli uomini cominciarono a bruciare. Col quinto, il regno della bestia fu avvolto da fumo ed oscurità. Col sesto fu prosciugato il fiume Eufrate ed infine col settimo flagello vi fu un terribile terremoto, quale mai si era visto sulla Terra ed una voce dal cielo disse: “E’ fatto!”.
Infine venne la fine della grande Babilonia, la grande prostituta, la madre di tutti gli abomini sulla Terra, che aveva le sembianze di una donna seduta sopra una bestia scarlatta, coperta di nomi blasfemi, con sette teste e dieci corna.
A questo punto, un angelo scese dal cielo con una grande catena e la chiave dell’abisso: egli afferrò il drago, lo precipitò nell’abisso e lo incatenò per mille anni.
Trascorsi i mille anni, il drago viene liberato e, con una moltitudine di seguaci guidati da due misteriosi personaggi, Gog e Magog, tenta l’ultimo assalto agli eletti, ma, alla fine viene definitivamente sconfitto da un fuoco disceso dal cielo.
L’Apocalisse termina con la visione dei “nuovi cieli” e della “nuova terra”.
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PETER PAN NEI GIARDINI DI KENSINGTON di James Matthew Barrie:
La vera storia di Peter Pan e della sua seconda vita nei giardini di Kensington dopo l'ora di Chiusura, quando le fate si scatenano e vanno al ballo, e tutto, proprio tutto può succedere. Per scoprire che tutti i bambini sanno volare, solo che crescendo se lo dimenticano.
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LE CONFESSIONI DI SANT'AGOSTINO di Aurelio Agostino
MIMI BLUETTE FIORE DEL MIO GIARDINO di Guido Verona
L`avventurosa parabola erotica di Mimi Bluette, al secolo Cecilia Malespano, ha inizio quando uno “studente in medicina” invero alquanto improbabile, coglie “la sua prima verginità” durante “una sera del mese d`Aprile”, e prosegue nella “Città immensurabile” di Parigi, ammaliata dall`intenso fascino della provinciale che decide di trasferirsi nella capitale francese, laddove suscita intensi desideri. La sua strada è costellata da una sequela di amanti che, però, non lasciano in lei alcuna traccia poiché quasi tutti privi di un significativo spessore individuale. Un bel giorno ella incontra Hilaire Castillo, del quale si innamora perdutamente: a partire da questo momento, la sua vita subisce un mutamento radicale che la spingerà ad attraversare l`Africa alla ricerca dell`uomo misteriosamente scomparso. Tale metamorfosi, che culminerà in un gesto estremo, viene raccontata in pagine dense di grande pathos dalle quali emerge l`abilità narrativa dell`autore, lungamente ed ingiustamente negata da corrucciate schiere di critici. Il romanzo, che fu pubblicato per la prima volta nel 1916, riscosse un larghissimo consenso di pubblico dovuto anche alla capacità daveroniana di mescolare sapientemente amore, morte ed eroismo.
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SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA di Guido da Verona
La peccaminosa Madlen, personalissima trasfigurazione del personaggio di Maria Maddalena, al tempo creò un enorme scandalo. Un ciclone di critiche si abbatté sull’opera definendola immorale e pornografica. Esagerazioni dell’epoca. Dietro il lusso dei casinò, dei cocktail nei locali eleganti, della vita mondana, della ricerca di sensazioni forti come la corrida, Guido da Verona descrive, da profondo conoscitore dell’animo umano e in particolare di quello femminile, i turbamenti della ricerca amorosa, della passione, della sensualità. L’itinerario sessuale, che non esclude saffici amori tra maliarde e la riduzione degli uomini a meri ornamenti, troverà il culmine in una mistica tappa a Lourdes che segnerà l’inizio di un nuovo cammino.
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LA DANZA DEGLI GNOMI E ALTRE FIABE di Guido Gozzano
Furbizia, rispetto per la natura e per gli animali, coraggio e un pizzico di magia sono gli ingredienti fondamentali di queste splendide favole in cui gli eroi e le eroine si fanno strada in un mondo popolato di fate e gnomi danzanti. Queste fiabe sempre attuali appartengono al mondo della fantasia e vivono nella magica dimensione del sogno, in cui castelli stregati, tovaglie incantate e bellissime principesse si uniscono in un colorato caleidoscopio di coraggiose avventure e ardue imprese. Gozzano racconta queste tenere novelle con l’allegria di un fanciullo cantastorie, insegnandoci con le “splendide nozze” finali che il bene prevale sempre sul male.
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IL GATTOPARDO di Tomasi di Lampedusa
Siamo in Sicilia, all’epoca del tramonto borbonico. È di scena una famiglia della più alta aristocrazia isolana, colta nel momento rivelatore del trapasso del regime, mentre già incalzano i tempi nuovi. Accentrato quasi interamente intorno a un solo personaggio, il principe Fabrizio Salina, il romanzo ci offre un’immagine della Sicilia viva, animata da uno spirito alacre e modernissimo, ampiamente consapevole della problematica storica, politica e letteraria contemporanea. Tradotto in tutte le lingue, Il Gattopardo è ormai un classico della nostra letteratura.
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Pape Satàn Aleppe Cronache di una societá liquida
La voce narrante del romanzo, Casaubon, agli inizi degli anni settanta – quando è laureando in filologia all’Università di Milano – conosce nel bar di Pilade Jacopo Belbo, che lavora per l’editore Garamond. Casaubon va alla Garamond e racconta a Belbo e al suo collega Diotallevi la storia dei Templari, su cui si sta laureando. Circa un anno dopo Casaubon vede di nuovo Belbo e in casa editrice incontrano un certo colonnello Ardenti, un esaltato ex repubblichino che propone all’editore un’opera rivoluzionaria basata su un messaggio trovato a Provins nel 1894 da un certo Edouard Ingolf (poi scomparso): si tratta del piano elaborato dai Templari per dominare il mondo. Ardenti suppone che dopo il processo e la fine dell’Ordine, l’Ordine si sia ricostituito in forma segreta nella notte del 23 giugno 1344. Il progetto è quello di vendicare Jacques de Molay, ultimo Gran Maestro dell’Ordine dei Templari condannato a morte nel 1314. Si stabiliscono sei posti nel mondo, e in ciascun posto vengono collocati sei documenti sigillati che devono essere aperti uno dopo l’altro ogni centoventi anni, in modo che si possa arrivare a un documento complessivo finale. I cavalieri partono e ciascuno va in un posto previsto dal piano. Poiché nessun guardiano può vivere per centoventi anni, ciascuno deve rimanere in carica venti anni e poi passare il comando a un successore. Al centoventesimo anno il custode del sigillo può leggere un’istruzione e passarla al primo dei guardiani del secondo sigillo, e così via in una sorta di staffetta. Dal primo al sesto luogo ci sono cinque passaggi, che prendono seicento anni. Dal 1344 si arriverebbe al 1944, anno in cui è prevista la conclusione del piano. Ma il piano, secondo Ardenti, si è interrotto nel 1944 forse a causa della seconda guerra mondiale che ha provocato sconvolgimenti geo-politici e interrotto le comunicazioni in Europa. Ardenti vorrebbe pubblicare il libro per lanciare un’esca ai gruppi che hanno mancato il contatto. L’incontro con Ardenti ha un esito misterioso perché il colonnello nei giorni seguenti scompare e si suppone sia stato ucciso. Il commissario De Angelis si occupa delle indagini e interroga Belbo e Casaubon. Frattanto Casaubon decide di andare in Brasile con la sua compagna Amparo (“bella, marxista, brasiliana, entusiasta, disincantata”), e lì conosce Agliè, un personaggio che ama farsi credere una delle tante reincarnazioni del conte di San Germano.
Tornato a Milano, Casaubon apre un’agenzia di informazioni culturali e conosce Lia (siamo nel 1981). Frattanto rivede Belbo e comincia a collaborare con la Garamond per un progetto editoriale sulla storia dei metalli. Casaubon scopre ora che la Garamond è collegata a un’altra casa editrice, la Manuzio, che pubblica autori che si autofinanziano. In quel periodo il signor Garamond propone il Progetto Hermes, una collana editoriale di scienze occulte che potrebbe interessare sia la Garamond (nei suoi aspetti più seri) sia la Manuzio (per le proposte più eccentriche). Casaubon propone Agliè come consulente editoriale per il Progetto Hermes, poiché si ricorda della sua cultura sconfinata nell’ambito delle scienze occulte. Agliè comincia dunque a collaborare con la Garamond e Belbo scopre che la donna che sta frequentando, tale Lorenza Pellegrini, conosce Agliè molto bene.
Casaubon inizia una relazione con Lia e il loro rapporto procede serenamente. Frattanto il signor Garamond pensa a una storia illustrata delle scienze magiche ed ermetiche e, anche sull’onda di questo progetto, Belbo, Casaubon e Diotallevi – un po’ per gioco e un po’ seriamente – a partire dalla vecchia idea di Ardenti cominciano a definire il Piano dei Templari. Ripartono dal messaggio di Provins lasciatogli dal colonnello e immaginano che i sei gruppi che si installano in sei luoghi debbano procedere con una staffetta secondo questa sequenza: Portogallo (1344), Inghilterra (1464), Francia (1584), Germania (1704), Bulgaria (1824), Gerusalemme (1944). Nel 1344 i primi gran maestri di ciascun gruppo si insediano nei sei luoghi prescritti. Nel corso di centoventi anni si susseguono in ogni gruppo sei gran maestri e nel 1464 il sesto maestro di Tomar (Portogallo) incontra il sesto maestro del gruppo inglese. Nel 1584 il dodicesimo maestro inglese incontra il dodicesimo maestro francese. E così via. Ogni maestro di un nucleo sa dove trovare il maestro del nucleo successivo, ma non dove trovare gli altri, e nessuno degli altri sa dove trovare i maestri dei nuclei precedenti.
Presi dalla vertigine dei collegamenti, i tre provano a ipotizzare che anche i manifesti dei Rosa-Croce parlino del Piano. Dalla ricostruzione emerge però che un appuntamento deve essere saltato: qualcuno non è arrivato al momento giusto e la catena si è interrotta. Dopo aver vagliato varie possibilità, i tre ipotizzano che la catena si sia arrestata nel 1584, nel passaggio tra Inghilterra e Francia, a causa della riforma gregoriana del calendario. La riforma è stata adottata in modo sfasato dalla Francia e dall’Inghilterra, cosicché quando in Francia è il 23 giugno 1584 (data dell’incontro), in Inghilterra è ancora il 13 giugno. Una sfasatura che non poteva essere prevista dai Templari che hanno progettato il Piano. Di lì i numerosi tentativi di ricostruire le fila del Piano interrotto. Inoltre, i tre ipotizzano che il contatto francese dovesse avvenire a Parigi e precisamente a Saint-Martin-des-Champs, l’abbazia dove verrà installato il Conservatoire des Arts et des Métiers (luogo del pendolo di Foucault, che oscillando senza posa con la sua sfera di ventotto chili dimostra la rotazione della Terra). Quanto al segreto da scoprire, i tre immaginano che i Templari vogliano identificare il centro sotterraneo del mondo da cui poter controllare le correnti terrestri, i cicli stagionali e cosmici, i flussi tellurici del pianeta. L’idea è che i gruppi si spostino da Gerusalemme (ultima tappa) a Parigi, dove il pendolo di Foucault all’alba del 24 giugno indicherà su una mappa il punto preciso per conquistare il mondo.
I tre si fanno coinvolgere dal Piano in modo ossessivo ed è in questo periodo che Diotallevi mostra i primi sintomi di un tumore che si rivelerà letale. Belbo e Casaubon sono molto presi dal Piano ma Lia, durante una vacanza con Casaubon e il loro piccolo Giulio, scopre – adottando una linea interpretativa più economica e ragionevole – che il famoso messaggio di Provins da cui l’intero Piano è scaturito non è altro che una nota della lavandaia, cioè l’appunto di un mercante che va a vendere fieno, drappi e mazzi di rose. In quei giorni Casaubon torna a Milano e qui riceve la telefonata di Belbo da Parigi: i Templari lo stanno cercando, lo vogliono al Conservatoire la notte del 23 giugno e vogliono da lui la mappa. Leggendo i documenti su Abulafia, il computer di Belbo, Casaubon capisce che Belbo aveva confessato ad Agliè (per gelosia nei confronti di Lorenza) di essere a conoscenza del Piano dei Templari. Nel giro di poco Belbo si era ritrovato al centro di un gioco più grande di lui e ormai irreversibile: i “diabolici” si erano riaggregati e lo avevano convocato (sotto minaccia) a Parigi per lo svelamento del segreto.
Sabato 23 giugno 1984 Casaubon va a Parigi, con l’intenzione di entrare nel Conservatoire e vedere cosa accade nella notte. È sera, Casaubon dapprima resta nascosto per molte ore nella garitta del periscopio, poi raggiunge la garitta della statua della Libertà, nella sala del Pendolo. Vede arrivare i primi iniziati che preparano un rito, quindi si accorge che il pendolo è stato appeso, in formato più grande, alla chiave di volta al centro del coro. Arrivano molti personaggi che i nostri avevano visto nei mesi precedenti, i “diabolici” appassionati di scienze occulte che frequentavano la Garamond/Manuzio (tra questi anche il colonnello Ardenti, che dunque non era morto, e il signor Garamond), e anche Agliè e Lorenza Pellegrini. Agliè comunica che Jacopo Belbo possiede il segreto dei Templari. Si svolgono dei riti e nel frattempo qualcuno fa entrare Belbo e lo issa su uno scranno alla base del pendolo e avvolge il filo del pendolo attorno al suo collo. Gli chiedono dunque quale sia il segreto, e Belbo con rassegnato disprezzo li deride. I “diabolici” chiedono insistentemente il sacrificio umano di Belbo, ma nel frattempo uno di loro uccide Lorenza con una coltellata. Quindi Casaubon assiste all’impiccagione di Belbo e pensa che l’amico, immaginando il Piano, abbia in un certo senso progettato anche la sua morte. Casaubon vaga nella notte per le strade di Parigi attorno al Conservatoire, e dopo lunghi giri arriva alla Tour Eiffel. Il giorno seguente torna al Conservatoire e vede con i suoi occhi che tutto è in ordine, come se nulla fosse accaduto. Prima di riprendere l’aereo telefona alla casa editrice e viene a sapere che Diotallevi è morto.
Tornato in Italia, Casaubon va nella casa dello zio di Belbo, a *** (una località del Piemonte non nominata nel romanzo). Qui tra gli juvenilia di Belbo trova un testo decisivo, che lui definisce Testo Chiave. Vi si narra di un funerale di partigiani in cui Jacopo – dodicenne – aveva suonato la tromba su indicazione del parroco Don Tico. Casaubon, in questa casa sulle colline piemontesi, aspetta ormai rassegnato che i “diabolici” arrivino a prendere anche lui, del resto è partito la mattina da Parigi e ha lasciato molte tracce. Ormai non può fare più niente. Può solo guardare e ammirare la collina.
In quella zona del basso Piemonte dove, anni dopo, sorgerà Alessandria, Baudolino, un piccolo contadino fantasioso e bugiardo, conquista Federico Barbarossa e ne diventa figlio adottivo. Baudolino affabula e inventa ma, quasi per miracolo, tutto quello che immagina, produce Storia. Così, tra le altre cose, costruisce la mitica lettera del Prete Gianni, che prometteva all'Occidente un regno favoloso, nel lontano Oriente, governato da un re cristiano. Avventura picaresca, romanzo storico in cui emergono in germe i problemi dell'Italia contemporanea, storia di un delitto impossibile, racconto fantastico, teatro di invenzioni linguistiche esilaranti, questo libro celebra la forza del mito e dell'utopia.
Carlo Collodi LE AVVENTURE DI PINOCCHIO
Albert Einstein e Leopold Infeld
L' EVOLUZIONE DELLA FISICA
Pubblicato in inglese alla vigilia della seconda guerra mondiale e subito proposto in traduzione, L'Evoluzione della fisica dovette aspettare la fine del conflitto per vedere la sua pubblicazione in Italia. Da allora (1948) questo testo non ha più smesso di rappresentare un punto di riferimento obbligato per il concetto stesso di divulgazione scientifica e per la Fisica in particolare. Scritto dai protagonisti assoluti della rivoluzione della fisica relativistica e quantistica, ma destinato a un pubblico di non specialisti il libro che avete tra le mani è il testo fondativo della moderna divulgazione delle idee, la pietra di paragone di ogni altro libro di Fisica, che permette di intuire la straordinaria importanza e il valore rivoluzionario della svolta della fisica del Novecento.
Carlo Rovelli
La realtà non è come ci appare
La struttura elementare delle cose
Concepita nel 1610, l’opera ebbe un tempo di composizione molto lungo, dovuto principalmente a periodi di infermità dello scienziato ed in seguito, a causa della condanna da parte del Sant’Uffizio nel 1616, al timore di dichiarare troppo apertamente la sua adesione al sistema copernicano. Dedicato a Ferdinando II de’ Medici, granduca di Toscana, il Dialogo, articolato in 4 giornate, si svolge tra il fiorentino Filippo Salviati, portavoce di Galileo, il veneziano Giovan Francesco Sagredo, uomo di ingegno e di idee progressiste, ed il peripatetico Simplicio, dalla rigida impostazione scolastica.
Nella prima giornata si discute del moto, nella seconda si entra nel vivo del sistema copernicano, nella terza si affronta la teoria delle stelle fisse e nell’ultima si apre il dibattito sul flusso e riflusso del mare, secondo Salviati-Galileo uno degli argomenti più forti a favore del sistema eliocentrico. Il Dialogo fu completato all’inizio del 1630 ma dovette superare molti problemi per avere l’approvazione ecclesiastica, per assecondare la quale fu mutato il titolo originale (Dialoghi attorno al flusso e reflusso del mare) e vennero cambiati alcuni passaggi. Pubblicata il 21 febbraio 1632 a Firenze, l’opera venne aspramente perseguita da papa Urbano VIII, che ne vietò la diffusione ed intimò a Galileo di presentarsi a Roma, dove venne sottoposto al famoso processo che lo costrinse all’abiura.
Le informazioni sono tratte dal sito liberliber, dove è possibile scaricare gratuitamente il libro.
Galileo Galilei
Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono
Dall’incipit del libro:
Perch’io so, Principe Serenissimo, che il lasciar vedere in pubblico il presente trattato, d’argomento tanto diverso da quello che molti aspettano e che, secondo l’intenzione che ne diedi nel mio Avviso Astronomico, già dovrei aver mandato fuori, potrebbe per avventura destar concetto, o che io avessi del tutto messo da banda l’occuparmi intorno alle nuove osservazioni celesti, o che almeno con troppo lento studio le trattassi; ho giudicato esser bene render ragione sì del differir quello, come dello scrivere e del pubblicare questo trattato.
Quanto al primo, non tanto gli ultimi scoprimenti di Saturno tricorporeo e delle mutazioni di figure in Venere, simili a quelle che si veggono nella Luna, insieme con le conseguenze che da quelle dependono, hanno cagionato tal dilazione, quanto l’investigazion de’ tempi delle conversioni di ciaschedun de’ quattro Pianeti Medicei intorno a Giove, la quale mi succedette l’aprile dell’anno passato 1611, mentre era in Roma; dove finalmente m’accertai, che ‘l primo, e più vicino a Giove, passa del suo cerchio gradi 8 e m. 29 in circa per ora, faccendo la ‘ntera conversione in giorni naturali 1 e ore 18 e quasi meza.
Le informazioni sono tratte dal sito liberliber, dove è possibile scaricare il libro.
Galileo Galilei
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