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Fisica del XXI secolo

  Nella riunione del 27 maggio 2022 i partecipanti hanno letto il libro Oltre la particella di Dio la fisica del XXI secolo di Leon M.Lederman Christophert. Hill. Ne èseguita una discussione sulla natura del vuoto quantico (mare di Paul Diràc ).


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 Aggiorniamo la biblioteca dei libri disponibili per i componenti della Compagnia della Pagina.

BIBLIOTECA


I promessi sposi [edizione A. Mondadori, 1985] [audiolibro]

Di Alessandro Manzoni 

  • I promessi sposi

La prima edizione è del 1827, l’edizione definitiva del 1840. Assegnando agli umili il ruolo di protagonisti, lo scrittore immagina, in una trama semplice ma fitta di occasioni romanzesche, personaggi “viventi” ed esemplari al tempo stesso, e scopre nelle tragiche contraddizioni del Seicento le chiavi di un’interpretazione socio-politica del presente da proporre ai suoi contemporanei. I soprusi dei potenti, la carestie e le guerre, la peste, tutti gli accadimenti del racconto risultano integrati e risolti nella chiara e malinconica visione provvidenziale dei giusti (padre Cristoforo, il cardinale Federigo), nel buonsenso di Renzo e Lucia, nell’insondabile tristezza dell’Innominato.

Dall’incipit del libro:

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l’uno detto di san Martino, l’altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l’ossatura de’ due monti, e il lavoro dell’acque.


AUDIOLIBRO



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Storia milanese del secolo 17. scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni. Edizione illustrata, riveduta dall'autore (1840)

Giovanni Boccaccio

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  • Decameron

Il Decameron ebbe subito un gran successo fra i lettori: andò a ruba, come mostra questa piccola lettera ansiosa, scritta nel luglio del 1360 da Francesco Buondelmonti all’arcivescovo Giovanni Acciaioli a Firenze:

“Domine reverende, ecco che il Montebellandi scrive alla moglie che vi dia il libro delle novelle di messer Giovanni Boccacci, il quale libro è mio, sicché vi priego quantum possum che ve lo facciate donare; e se l’arcivescovo di Napoli non è partito vi priego il mandiate per lui, cioè per li suoi camerieri, e che non lo desse né a Messere né a nullo se non a me. E se l’arcivescovo è partito fatelovi dare Cenni Bardella: lo mi mandi a l’Aquila, o a Sulmona, o voi me lo mandiate per chi pare a voi, che venga in mia mano; e guardate non venga a mano a messer Neri, perché non l’avrei. Io il vi fo dare a voi, perché mi fido più che di nullo altro e hollo caro: e guardate di non prestarlo a nullo, perché molti ne sareno malcortesi… E guardatevi del libro mio di prestarlo a ser Nicolò, però ch’egli vi sarà ladro.”

La citazione suggerisce il carattere che ebbe l’immensa popolarità di questo libro: “cento novelle raccontate in diece giorni da un’onesta brigata di sette donne e di tre giovani”, come dice l’autore. Una popolarità costruita semplicemente sull’entusiasmo dei comuni lettori. Non vi furono altre opere medievali europee che, come questa, varcassero in breve ogni frontiera, amorevolmente tradotte perché chiunque potesse averne diletto; senza contare le imitazioni che seguirono nel tempo. E ben altro che imitazioni: è il Decameron a inaugurare quella narrativa – non più epica, o di exemplum, o di fantasia remota, ma di attualità e di storia attualizzata – che poi caratterizzò le letterature occidentali fino ad oggi.

È un libro borghese espressamente dedicato alle donne, le quali già allora a quanto pare erano migliori lettrici. A ben contare il libro di novelle ne contiene centouna, la più estesa e diffusa essendo quella che funge da cornice a tutte le altre. Il testo è voluminoso, ma l’ascoltatore è libero di spigolare qua e là. Sappia però che se scambia il libro per un ampio magazzino di novelle eterogenee, l’insieme dell’opera – solido e affascinante – andrà perduto ai suoi occhi.

Fra i grandi testi della più brillante e incredibile primavera della nostra lingua e letteratura (cui s’accompagnava la pittura: l’età di Giotto) esso costituisce il corpo di fabbrica appoggiato al suolo, frequentato da mercanti, usurai, parassiti, grand’uomini in veste da camera. Le astrazioni ideologiche, politiche e sentimentali prosperano ai piani superiori. Qui al pianterreno, invece, sovrani e clero vanno a caccia di soldi e di ragazze, il paradiso si popola di santi fasulli e di penne di pappagallo, la gioventù si dedica a fare e subire tiri mancini, l’amore finisce a letto. Ci sono tanti altri ingredienti: c’è tutta la vita, cortese, borghese e rustica, aggiunte varie specie di malavita per terra e per mare, nonché un minuscolo atlante di erotismo. Ma non ci sono valori istituzionali con l’iniziale maiuscola: solo quelli minuscoli, della vita attiva, che con i primi si accontentano di scendere a compromessi. Per 650 anni questa impronta di vita quotidiana ha tanto nuociuto al libro nelle opinioni istituzionali, quanto giovato alla sua fortuna e al suo ruolo europeo di modello. Essa ancor oggi lo avvicina a noi e ci fa contemporanei del suo tempo, molto più di quanto non accada a classici di nascita ben più recente. Infatti i valori maiuscoli, che si dichiarano perenni, sono invece merci deperibili. Essi hanno nei libri, e nelle altre loro applicazioni, un effetto simile a quello del cloro, che prima sbianca la carta e poi la fa cadere in polvere. Il Decameron è un grande libro come alcuni altri lo sono, ma ha il raro privilegio di essere intimamente, come si dice, “esente da cloro”. Al di là della straordinaria abilità narrativa e della felicità espressiva, non è un libro irridente e sensuale costruito con materiali leggeri. I suoi materiali sono la vita, gl’interessi, l’amore e la morte: diciamo, la condizione umana. Materiali leggeri furono i metri di misura in base ai quali fu ritenuto scandaloso.

Però ovviamente il lessico e la sintassi del Decameron sono antichi. Preparandone la lettura, ho sentito forte la tentazione di sostituire, poniamo, “le ditella” con “le ascelle”, o “il prigioniere” con “il carceriere”, oppure “adoppiato” con “narcotizzato”, e così via. La complessità sintattica pone forse difficoltà maggiori, se non altro perché può rendere oscure aree più vaste. Beninteso: il linguaggio del Decameron è del tutto quotidiano – bonario, flessibile, capace di ogni dolcezza e di ogni colpo di punta e di taglio. L’autore si rifaceva largamente al parlato, anzi a diversi tipi di parlato di svariato ambiente, e inoltre all’occorrenza faceva risonare tanti vernacoli sparsi qua e là per l’Italia, dalla Sicilia, a Napoli, a Venezia… Però il cervello del parlante era abituato a congegnare le frasi in un modo che stava a mezza via fra il nostro e quello dell’antichità latina.

Tradurre il libro in italiano moderno sarebbe un’operazione, non solo lecita, ma conforme alla “pietas”, e magari dovuta. Chi muove obiezioni di principio si dovrebbe ribellare, per coerenza, anche all’idea che esso venga stampato, digitalizzato, audioregistrato – anziché vergato su pergamena con penne d’oca, e letto da persone che appartengano al Medioevo e si avvolgano previamente in un robone condecente.

Senonché tradurre in italiano moderno sarebbe bellissimo, ma straordinariamente insidioso. Il cuore di una traduzione, da cui si può giudicare se il risultato è una creatura o un aborto, è la resa del tono. E qui il tono del libro è una sinfonia di estrema complessità. In fondo sarebbe, non dico più facile, ma meno esposto a malintesi, tradurre la Divina Commedia, che non questa Commedia Umana. Il mondo medievale, alla metà del Trecento, si vede sul letto di morte della peste nera, e – come San Ciappelletto nella prima novella – non s’arrende, ma prima di chiudere gli occhi sprigiona tutti gli aromi che conosce. Di solito si considera buona regola non far affiorare versi dalla prosa; ma la voce del Boccaccio, invece, si alza continuamente nel canto; che volta a volta può essere drammatico, elegiaco, magico, malizioso, buffo. Una traduzione che non riuscisse a prendere questi voli, sarebbe infedele.

A limitarsi a sostituire termini antichi e sciogliere grovigli sintattici, più che una traduzione, ne uscirebbe un testo con note esplicative incorporate: una chimera antico-moderna (una porcheria, credo). E non si potrebbe lasciare alle note il loro proprio statuto, come hanno nei testi a stampa? Ciò richiederebbe interruzioni di lettura: un inconveniente limitato per brevi note lessicali, purché non troppe, che diverrebbe più pesante per note sintattiche. In fondo, poiché si tratta di un testo che abbiamo studiato a scuola, il tarlo è questo: non ne deriverebbe una patina didattica? Con tutto il rispetto che bisogna portare alla scuola, nemmeno Dante e Petrarca meritano di essere presentati come seccatori scolastici; figurarsi il sereno e vulcanico Boccaccio! (uomo che fu persino, ai tempi suoi, multimediale, e graziosamente illustrò lui stesso due volte il Decameron, con mano di dilettante esperto).

La conclusione è che qui l’ascoltatore troverà il testo (salvi gli errori) come l’ha scritto Boccaccio, punto e basta; nella speranza che la forza del contesto aiuti a comprendere le parole inconsuete, e l’articolazione della lettura aiuti a dipanare le complessità della sintassi.

Ciò non toglie che sarebbe bellissimo trovare utenti che si scomodassero a segnalare errori e formulare proposte migliori; le quali si potrebbero sempre realizzare, in un secondo tempo.

Musiche

Le cornici musicali sono arrangiate ed eseguite da Ivan Genesio, genesio.ivan@libero.it, e sono tratte da testi dell’ARS NOVA ITALIANA:

  • Ave regina di Marchetto da Padova;
  • Gloria e Ciaramella di Antonio Zacara da Teramo
  • Lucida pecorella e Giporte di Donato da Firenze
  • Mille mercede amor di Frate Egidius
  • Or qua, conpagni dal Codice Rossi 215 della Biblioteca Vaticana

Altri frammenti (sempre arrangiati ed eseguiti da Ivan Genesio) sono tratti da:

  • Aria di Zerlina, “Vedrai, carino”, del Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart

Per la decima giornata le cornici musicali sono frammenti strumentali tratti da:

  • Orfeo di Claudio Monteverdi eseguiti dall’Orchestra del Teatro alla Scala di Milano, diretta da Ferruccio Calusio.

La Peste di Firenze è introdotta da un frammento del:

  • Dies Irae dal Requiem in D minor K 626 di Wolfgang Amadeus Mozart eseguito dalla RIAS-Symphonie-Orchester Berlin diretta da Ferenc Fricsay.



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Alice nel paese delle meraviglie [audiolibro]

Home/Autori/Autori C/Lewis Carroll (alias Charles Lutwidge Dodgson)/Alice nel paese delle meraviglie [audiolibro]
  • Alice nel paese delle meraviglie

Scritta su quaderno come Alice’s Adventures Underground, poi rivista e pubblicata nel 1865, questa storia è l’elaborazione di un racconto estemporaneo che Dodgson inventò durante un pomeriggio in barca per intrattenere le tre figlie di H. G. Liddell, coautore del dizionario Liddell-Scott di greco antico, una delle quali si chiamava Alice.

Nel racconto Alice, sognando di inseguire un coniglio sotto terra, finisce per scoprire un mondo popolato di personaggi assurdi. L’opera contiene alcune poesie sperimentali. Ha goduto di un successo enorme ed e stata più volte tradotta.


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