Modificazione dell'inconscio collettivo
Durante una delle recenti riunioni della Compagnia della Pagina é stato trattato l'argomento della possibile influenza che la produzione incessante delle realtá immaginarie può avere sull'inconscio collettivo della popolazione.
Fino alla fine del 1800 prima dell'invenzione del cinema la rappresentazione di realtá immaginarie era effettuata con la pubblicazione di libri, le opere teatrali, gli spettacoli di marionette.
Questi mezzi avevano una debole diffusione tra la popolazione ed erano utilizzati soprattutto dagli adulti.
Con l'invenzione del cinema, veicolato poi capillarmente in tutte le case dalla televisione la rappresentazione di realtá immaginarie è diventata alla portata di tutti: adulti, giovani e bambini.
Inoltre il cinema ha un potere evocativo della realtà molto superiore e coinvolgente rispetto a quello dei città mezzi disponibili fino alla fine del 1800.
Con le rappresentazioni cinematografiche, per la prima volta nella storia individui di tutte le età hanno cominciato ad assistere alla rappresentazione delle più disparate vicende umane.
Purtroppo in molti casi queste rappresentazioni descrivono accadimenti tragici, scene di comportamenti delinquenziali, illegalitá e rappresentazioni di odio e violenza, che non si riscontrano nella vita quotidiana. Infatti nella realtà succede raramente che un bambino, un adolescente o una adulto assistano a scene di violenza, omicidi, aggressioni o combattimenti tra soldati.
Con l'avvento della televisione che ha veicolato il cinema nelle case tutte queste realtá immaginarie vengono rappresentate quotidianamente. Tutto ciò ha probabilmente provocato una modifica dell'inconscio collettivo influenzando il comportamento della popolazione, questo è stato probabilmente uno dei numerosi fattori che hanno provocato un degrado del vivere civile.
Durante la riunione si è parlato di un libro di uno scrittore Giuseppe Bonaviri intitolato "il vicolo blu".
«Volevo recuperare i turbamenti, gli equilibri e gli squilibri di una civiltà di contadini. I quali vivevano la ricchezza d'una esistenza in cui vedevano delle deità liberatrici dovunque: nel vento, nella pioggia, nel gemmare dei mandorli, nei cieli stellati» disse, molti anni fa, Bonaviri del suo capolavoro d'esordio, Il sarto della stradalunga, del 1954: il sarto era suo padre, e il romanzo raccontava di fabbri, vasai, di artigiani e contadini e la loro panteistica fusione con la materia animata che li sostentava. E con la sua prosa visionaria, il romanzo si discostava dal solco dominante del neorealismo. Come un circolo che si completa, quando il suo passato è già quasi tutto scomparso dal ricordo diretto di qualcuno, Bonaviri ritorna con un fiato di intensità rimodulato dal tempo, sui luoghi e suoi quadri de Il Sarto della stradalunga: al suo mondo paesano. Se «la vita è una grande nuvola di nebbia», se c'è un nulla che inghiotte e che stringe dappertutto - ed è così certo per la memoria - l'unico balsamo è quello di strapparle, vita e memorie, al tempo: proiettarle in una meno violabile dimensione, qual è il mondo magico e materialistico di Bonaviri. Dove la magia dei bambini protagonisti - lui, i suoi fratelli e sorelle - va d'accordo col naturalismo ciclico e immortale dei loro adulti contadini, capaci ancora di comporre una laude per violino sul morire dei capretti che sgozzano, e dei papaveri recisi sul solco dei campi arati. E si può citare per questo mondo quel che un grande antropologo diceva delle culture antiche, che a differenza delle moderne la loro dimensione non è la storia ma il cosmo. Ed è lo stesso per i figli del sarto della stradalunga, che vissero nel vicolo blu: abitano il cosmo.
Si è anche parlato del libro " il sarto della stradalunga"
Italo Calvino fu tra i primi lettori del dattiloscritto di questo romanzo. Scrisse a caldo, nel 1952: «Io mi sono divertito molto a leggerlo. È tutto scritto bene, con una continua inventiva di linguaggio e di spirito. In certi momenti è proprio bello (il dialogo di due che guardano la luna). È disorganico, si potrebbe far finire in qualsiasi punto o continuarlo finché si vuole, è un puro arabesco che parte da un materiale neorealistico ma non lo compone in romanzo, lo arzigogola in un affresco statico e continuo, o in una specie di soliloquio». Il sarto della stradalunga uscì nei «Gettoni» Einaudi nel 1954. Ne scrisse il risvolto Vittorini: «C'è una grazia settecentesca in questa storia d'un sarto e della sua famiglia che ci viene da un paese dei monti Erei, interno della Sicilia orientale, provincia di Catania. Di un Settecento popolare, beninteso, e precisamente del tipo tra primitivo e arcadico, cioè ingenuo e a colori grezzi, ma anche lezioso, in cui hanno forma le statue in legno o ceramica di molti santi delle chiese siciliane. Il valore poetico del romanzo è però in qualcosa di più profondo: nel senso delicatamente cosmico col quale l'autore rappresenta il piccolo mondo paesano su cui c'intrattiene, trovando anche nelle erbe e negli animali, nei sassi, nella polvere, nella luce della luna o del sole, un moto o un grido di partecipazione alle povere peripezie del sarto e dei suoi».
Ha scritto Sciascia: «Il libro di Bonaviri piacque per la fresca ispirazione, per la favolosa trascrizione di una povera e amara vita quotidiana: quel che di lezioso e di scaltro notò qualche critico, e noi come semplici lettori, era un modo di auscultazione della realtà e non una tecnica calcolata».
La lettura di questi due libri é particolarmente gratificante in quanto l'autore inserisce frammenti di vita quotidiana apparentemente banali nel contesto immaginifico di questo mondo meraviglioso.
Commenti
Posta un commento